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Bambino che non ho
Bambino che non ho, figlio mai nato, cercherò di spiegarti tutto ciò che ti ho evitato. Il parto, innanzi tutto, e il dolore di saperti espulso dall'amore. La paura di venire abbandonato, quei vagiti lunghi come i fischi dei treni notturni nelle stazioni secondarie, e il suono, il suono delle parole indecifrabili che t'impongono la loro dizione. E i birignao intollerabili con cui si rivolgono le persone. La prima volta che la tua mamma uscirà la sera. Il terrore che non tornerà più. Ti ho evitato la vergogna di fartela sotto a scuola, gli altri che ridono e ti mettono alla gogna. La fatica di sollevare la prima matita come un macigno, e il ghigno dei grandi quando deformi le parole. Ti ho evitato il freddo quando piove la paura dei tuoni dei fantasmi delle streghe, e poi le prime beghe: quando un compagno ti dirà "Tuo padre è un ubriaco" oppure "Noi siamo molto più ricchi di voi" e ti faranno vergognare della tua famiglia e del tuo nome. Io ti ho evitato, piccolo, l'angoscia di un cognome e delle ombre che comporta e poi, diciottenne al primo amore, la sconfitta di attendere ore dietro una porta lei che non ti vuole. E l'assillo dl primo impiego, l'offesa di tutte le file burocratiche, i soprusi di chi ti comanda e l'arroganza dei potenti. Io ti ho evitato tutte le litigate, le sgridate, il dolore di quando moriranno tuo padre e tua madre, la solitudine del deserto, quella provocata dall'invidia, dal tradimento, quella solitudine che ti farà percorrere tutte le periferie dell'anima. E poi, da vecchio, lo sgomento per aver tanto vissuto e sofferto e gridato e amato, inutilmente, in cambio di niente, inascoltato. L'elenco potrebbe continuare, ma è un'impresa inutile, come catalogare le gocce del mare. Inutile, perchè il dolore più grande, tuo padre non te l'ha evitato. Il dolore di non essere nato.
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